IL SILENZIO

Eremo di Camaldoli

 

Con questo scritto Andrea, laureando in filosofia, introduce il lavoro di classe sul silenzio.

Premessa

Non appena ci si accinge a riflettere sul silenzio e si tenta di darne una definizione, risulta chiara la complessità e l’importanza di questo concetto. Dall’antichità ad oggi esso è stato oggetto di speculazioni filosofiche e teologiche, nonché di richiami poetico-letterari. Questo grande interesse testimonia l’essenziale legame esistente tra il silenzio e il mondo, l’uomo, il linguaggio, l’arte.

Vista l’immensità del campo di indagine, abbiamo individuato quattro punti tematici in cui ordinare le considerazioni sul silenzio: silenzio e uomo, silenzio e linguaggio, silenzio e divino, silenzio e arte. Questo dovrebbe servire a fornire un quadro generale, prima di passare a un’analisi più particolareggiata del rapporto che intercorre tra il silenzio e la musica.

Il silenzio e l’uomo

“Il silenzio appartiene alla struttura fondamentale dell’uomo”(Max Picard, Il mondo del silenzio).

Il silenzio ha per l’uomo una moltitudine di valenze. E’ innanzitutto una dimensione in cui cercar rifugio dalla realtà esterna. Il silenzio aiuta a pensare, a concentrarsi, a ritrovare sé stessi e ad ascoltarsi. In esso l’uomo genera idee con la tranquillità dovuta ad una temporalità nuova: tutto è più lento e dilatato.

Inoltre, attraverso il silenzio, l’uomo può manifestare rispetto nei confronti di una realtà superiore (di cui per natura aspira invano alla conoscenza), e accettazione della propria limitatezza. Questo atteggiamento traspare in diversi momenti della storia del pensiero.

Gli scettici greci, nell’incapacità di dare delle risposte alle grandi questioni metafisiche, propongono l’epoché, la sospensione del giudizio (e quindi il silenzio) pur non rinunciando alla continuazione della ricerca. In questo modo danno inizio a un filo rosso che toccherà filosofi di varie epoche giungendo fino ai contemporanei.

Il filosofo austriaco L. Wittgenstein chiude il suo “Tractatus logico-philosophicus” con la celebre proposizione “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, facendo naturalmente riferimento anch’egli alle stesse problematiche filosofiche.

Il silenzio è poi protagonista dei momenti più importanti della vita di un uomo e come afferma G. Leopardi “è il linguaggio di tutte le forti passioni, dell’amore, dell’ira, della maraviglia, del timore”. Tra queste passioni spicca l’amore. Quando si è innamorati il silenzio acquista un valore speciale. La grande intimità tra due amanti rende le parole un qualcosa di troppo; si sviluppa una sorta di empatia per cui, in silenzio, si condivide ogni pensiero, sensazione…
B. Pascal afferma che “in amore un silenzio ha più valore di una parola”.
Il silenzio è infine intimamente legato alla morte. Chi muore entra per sempre in una dimensione di silenzio e chi assiste alla morte altrui ha bisogno di silenzio e raccoglimento.

Il silenzio e il linguaggio

Priva di rapporto col silenzio, la parola diviene vaniloquio; senza rapporto con la parola il silenzio diviene mutismo” (R. Guardini, Virtù).

Nonostante sembrino due entità contraddittorie, silenzio e linguaggio sono intimamente legate tra di loro, non fosse altro che per la constatazione che le parole poggiano sul silenzio (che è quindi sostrato del linguaggio e condizione necessaria ad ogni tipo di comunicazione).

E’ pertanto impossibile scindere queste due realtà. L’opinione comune vede erroneamente nel silenzio una condizione di passività: stare in silenzio vuol dire tacere, non comunicare. In realtà il silenzio non ha nulla a che fare con il mutismo.

Il silenzio in determinate situazioni è decisamente più ricco di contenuti che non fiumi di parole. Molto spesso persone più taciturne parlano in modo più sensato e pensato di per-sone molto loquaci. Ad una buona comunicazione, al parlare “autentico” (per usare Heidegger) sono necessari tanto il silenzio quanto il linguaggio.

Nei filosofi cristiani è radicata l’idea che ciò che è da ricercare sia il saper tacere quando è tempo di tacere e il saper parlare quando è tempo di parlare (v. S. Ambrogio, S. Gregorio, Rodriguez).

Il silenzio è tutt’altro che passivo: è indice di grande profondità, attenzione, raccoglimento, tutte condizioni necessarie al parlare, nell’accezione più seria di questa parola. Infine, il silenzio è l’unico scudo di cui dispone l’uomo a difesa di una realtà di chiacchiere vuote, inutili, sterili.

Il silenzio e il divino

“La nostra anima ha bisogno di solitudine. Nella solitudine, se l’anima  attenta, Dio si lascia vedere. La folla  chiassosa: per vedere Dio  necessario il silenzio” (Sant’Agostino, Commento al Vangelo di S. Giovanni).

Tutti i credo religiosi si trovano d’accordo nel riconoscere il silenzio come mezzo per raggiungere la sfera del divino, ascoltarne il messaggio e goderne le dolcezze. Si tratta di un silenzio interiore, che è slegato da quello delle parole. Essere in una condizione di silenzio interiore significa avere la capacità di ascoltarsi.

Nella tradizione cristiana la pratica del silenzio ha da sempre coinciso con quella della preghiera. La vita nei monasteri è scandita dalla silenziosa preghiera che permette di instaurare un dialogo con Dio. Queste strutture sono in luoghi lontani dalla realtà caotica e rumorosa e permettono una serena concentrazione.

Dio stesso per i cristiani è silenzio che, trasformandosi in parola, si dona all’umanità. Picard sottolinea come in Dio avvenga una sorta di identificazione tra parole e silenzio. Non mancano esperienze di tipo ascetico, più comuni, però, nel mondo orientale. Gli eremiti scelgono il silenzio della natura, in particolare delle montagne, per meditare e ricer-care armonia tra sé, il mondo, e il divino.

Il silenzio e l’arte

La vera musica  quella che crea il silenzio, come la vera poesia, come qualunque forma di linguaggio creatore” (M. F. Sciacca).

L’arte è creazione, comunicazione. Ancora una volta sembrerebbe un controsenso associare alla creatività artistica un concetto come quello di silenzio, ma non è così. L’arte vive di silenzi. Il silenzio è presente nella poesia: dietro le parole scritte stanno nascosti i pensieri del poeta.

La punteggiatura contribuisce a portare il silenzio tra le parole. E il silenzio c’è mentre si legge una poesia e dopo che la si è letta, quando si riflette su di essa. Ancora più curioso è il rapporto che intercorre tra silenzio e musica, l’arte dei suoni.

La musica nasce, si sviluppa e muore nel silenzio. Il suono è come un accidente che sorge all’improvviso da un fondo silenzioso per poi spegnersi e ritornarvi. Le pause sono tracce visibili del basamento silenzioso sul quale poggia la musica: questi momenti sono altrettanto importanti di quelli coperti dai suoni in questo contribuiscono a veicolare determinati messaggi musicali.

Avviene poi a volte che gli artisti scelgano, in modo provocatorio, come forma di protesta il silenzio: o smettendo di comporre poesia, musica o dando vita ad opere d’arte destinate ad essere incomprese e pertanto finire nel silenzio.

Da tutto ciò crediamo emerga con evidenza l’importanza del silenzio e la necessità di un suo recupero nella realtà attuale, dominata dal rumore, da un frastuono (spesso anche interiore) dalle parole vuote…

R. Guardini scrive allarmato: “L’umanità di chi non tace mai, si dissolve.”

Il silenzio e il bello:
riflessioni su una possibile “Estetica del silenzio”

Il concetto di silenzio presenta, a mio giudizio, numerose affinità con l’idea di bello che traspare nel pensiero di Platone, il quale pone alcune tra le più importanti problematiche che verranno riprese nella successiva storia dell’estetica (la concezione realistico-cosmologica della bellezza, la sua lettura in connessione con il problema del bene, il suo significato ermeneutico…).

Il silenzio sembra appartenere, come il bello platonico, ad una dimensione sovrasensibile, sfuggente com’è ai vincoli della materialità. La contemplazione del bello in sé è il risultato di un lungo e faticoso processo che compie il filosofo (inteso etimologicamente come chiunque ami, aspiri al sapere) a partire dall’osservazione e dall’amore graduali per ciò che di bello si presenta alla sua sensibilità, una vera e propria scalata verso il mondo delle idee “Questo  il momento della vita, caro Socrate, o mai più altro, degno di vita per l’uomo, quando contempli la bellezza in sé”, (dal discorso di Diotima a Socrate nel “Simposio”, 211d).

Ritengo che per vivere pienamente il silenzio sia necessario all’uomo uno sforzo analogo a quello descritto da Platone a proposito della bellezza: solo chi si abitua ad un attento ascolto dei suoni, dei rumori riuscirà a riconoscere e ad amare ciò che di bello c’è in questi, arrivando infine a godere pienamente del silenzio. Quest’ultimo non è altro che la sublimazione dei suoni percepibili sensibilmente.

Sperando di non forzare il testo di Platone, mi piace immaginare un sottofondo di silenzio nel momento in cui il filosofo raggiunge finalmente il mondo delle idee:

All’improvviso gli si rivelerà una bellezza meravigliosa per sua natura: bellezza eterna, che non nasce e non muore, non s’accresce né diminuisce, che non  bella per un verso e brutta per l’altro, né ora s“ e ora no; né bella o brutta secondo certi rapporti; né bella qui e brutta lì (…). Questa bellezza gli si rivela come essa  per sé e con sé, eternamente univoca, mentre tutte le altre bellezze partecipano di lei in modo tale che, pur nascendo esse o perendo, quella non s’arricchisce né scema, ma rimane intoccata” (“Simposio”, 210e-211b).

Prendendo spunto dall’ultimo periodo del passo citato propongo un parallelismo tra il rapporto intercorrente tra il Bello e le cose belle e quello esistente tra il Silenzio e i suoni. A mio parere i suoni “partecipano” del Silenzio allo stesso modo in cui le cose belle “partecipano” del Bello. Il Silenzio è fondamento ontologico dei suoni che da esso nascono e in esso ritornano morendo senza corromperne l’esistenza che rimane eterna, univoca; è una sorta di idea di Suono, Suono in sé.

Il Silenzio ha in potenza tutti i suoni che noi percepiamo. Il Silenzio viene così ad assume-re caratteri propri della Idea suprema secondo Platone, l’idea del Bene, intimamente legata a quella del Bello (nel mondo greco c’è un fortissimo legame tra il bello e il buono tanto che ciò che è bello è buono e ciò che è buono è bello – Kalos kai agathos), presente in molti dialoghi.

In particolare nel VI libro della “Repubblica” troviamo la suggestiva metafora del sole: come il sole è ciò che dà vita e visibilità alle realtà materiali, l’idea del Bene è ciò che impartisce l’essere e la conoscibilità agli oggetti ideali. Tornando al Silenzio, quest’ultimo è fonte dei suoni e garante della loro esistenza: “illuminandoli” li rende udibili.

Il Silenzio è dotato di una immensa potenza creatrice. All’uomo non resta che affrontare una sfida ermeneutica, d’interpretazione di ciò che gli si presenta attraverso i sensi . Solamente partendo dai sensi riuscirà a prendere lo slancio verso ciò cui essi rimandano, verso la realtà extra-sensibile. Credo davvero che solo chi sa contemplare il bello, ascoltare il silenzio realizzi a meglio le facoltà umane di percezione della realtà.

Fine del senso del bello e mancanza di silenzio
nella società contemporanea

Il quadro delineato poco sopra come modello positivo, quello cioè di uomini proiettati nella ricerca del bello e del silenzio, non corrisponde affatto alla realtà dei nostri giorni. E’ evidente come gli uomini d’oggi (naturalmente non parlo di tutti, ma credo di un grande numero) abbiano perso la capacità e la spinta a riconoscere intorno a sé quanto c’è di bello e a crearsi autentici momenti di silenzio.

Sin dall’antichità la bellezza ha coinciso con lo stupore, la meraviglia propri di coloro che ne entravano in contatto. E a scatenare questo stupore erano le cose più diverse: un evento causato dalla natura, un paesaggio, l’espressione di un volto, una parola…

Anche le cose apparentemente più banali, se guardate “con occhi nuovi” erano occasione di meraviglia, non lasciavano spazio che a un sorridente silenzio. Da qui è nata la volontà dell’uomo di scoprire ciò che lo circondava, di capire il perché del mondo (la stessa filosofia avrebbe origine, secondo diversi pensatori contemporanei, dallo Thaumhàzein, dal meravigliarsi degli antichi), di ricreare la bellezza del mondo attraverso l’arte…
Mi sembra che oggi ci sia molta meno attenzione verso ciò che ci circonda, che ci accade.

La bellezza è ridotta a banali modelli cui omologarsi per non sentirsi diversi, la gente ricerca il silenzio interiore in strane pratiche orientaleggianti, scopre nuove culture (?) vuote e tristi (“New Age” ecc.), è schiava della routine quotidiana.

Forse basterebbe ritornare a ritmi più umani, alzare lo sguardo mentre si cammina per strada, ascoltare voci e suoni per capire che non è così difficile ritrovare il piacere di scoprire, di inventare…

Trovo eccellente questo passo tratto da “Come si vince a Waterloo” di Sciacca:

La nostra epoca rumorosa  senza silenzi, senza armonie. Povera di parole, ricca di voci. Mancano gli spazi di meditazione e di raccoglimento. Viviamo dispersi nella dispersione di mille cose inessenziali. Ci vince la stanchezza, alla fine di un giorno qualunque, non ci attrae il silenzio. Decine di appuntamenti al giorno, puntuali a tutti, siamo incapaci di un minuto di silenzioso raccoglimento e arriviamo sempre in ritardo all’appuntamento con noi stessi”.

Il silenzio “minacciato”:
la musica nella modernità

La musica, contrariamente alle altre arti, appare del tutto indipendente dal mondo delle “cose”, della materia e quindi dal contesto del mondo stesso. Schopenhauer sostiene la tesi (ripresa di continuo nelle riflessioni filosofiche riguardo alla musica) secondo cui i suoni potrebbero “in certo modo continuare ad esistere anche quando il mondo non ci fosse” (“Mondo come volontà e rappresentazione”, par. 52).

Viene spontaneo, a questo punto, domandarsi in che modo sia possibile (sempre che sia possibile) godere pienamente di quest’arte metafisica. Piana, nella sua “Filosofia della musica” afferma che “è necessario restituire al suono la sua pura essenza fantomatica sciogliendolo dai vincoli che lo integrano nel contesto del reale”.

Semplificando, si potrebbe dire che, soltanto dimenticando che il mondo c’è, si può ascoltare (non sentire) la musica. Emblematico è l’atto di chiudere gli occhi compiuto da chi vuole concentrarsi su ciò che sta ascoltando (secondo il Piana questo è “un modo di simbolizzare la necessità dell’oblio”).

Questa situazione richiama alla mente il racconto mitico secondo cui Pitagora insegnava ai suoi discepoli nascosto da una tenda e, in generale la concezione greca che attribuiva sacralità all’atto dell’ascolto (come, d’altronde, ad ogni altra esperienza estetica).

Al giorno d’oggi la musica (ma il discorso potrebbe essere allargato a tutte le altre arti) è svuotata del suo valore sacro, cultuale tanto da rappresentare sempre più spesso una minaccia al silenzio e all’interiorità. Benjamin, nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” propone alcune interessanti riflessioni riguardo al fenomeno della “perdita dell’aurea” che caratterizza l’arte del XX secolo.

La possibilità di riprodurre un’opera d’arte determina la perdita del suo “hic et nunc ”, della sua unicità e sacralità. La musica è presente sempre e ovunque nella vita dell’uomo.
Non si sceglie più di ascoltare musica, ma si è costretti a farlo

Non è un’esagerazione parlare di un vero e proprio inquinamento musicale. Accade che la musica, la più metafisica delle arti, si ritrova tristemente ad essere merce destinata all’abuso di radio, televisione…

E’ impresa più che ardua trovare un luogo dove i nostri orecchi non siano offesi dall’irrompere di un suono o di un rumore indesiderati. Gli uomini subiscono passivamente questa situazione, ormai abituati a un atteggiamento consumistico dell’arte.

Occorrerebbe imparare di nuovo ad ascoltare “con cognizione di causa e con consapevolezza musicale” (E. Lichtenhahn).


Bibliografia

M. Baldini, “Le parole del silenzio”, Edizioni Paoline, 1986
L. Wittgenstein, “Tractatus logico.philosophicus”, Einaudi, Torino, 1989
M. Picard, “Il mondo del silenzio”, Edizioni Comunità, Milano 1951
Platone, “Simposio” (tr. it. G. Calogero), Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2004
W. Benjamin, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (tr. it. Di E. Filippini), Einaudi, Torino, 2000
G. Piana, “Filosofia della musica”, Guerini e associati, Milano, 1991
R. Guardini, “Virtù”, Morcelliana, Brescia, 1978
Sant’Agostino, “Commento al Vangelo di Giovanni”, Città Nuova, Roma, 1968
M. F. Sciacca, “Come si vince a Waterloo”, Marzorati, Milano, 1961

Sitografia ragionata

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Andrea Bonino  – lavoro di classe – a.a. 2004-05
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